“Emmine” MCL/FCL – Os.kar

Le ferrovie a scartamento ridotto italiane hanno sempre vissuto di stenti costituendo una realtà estremamente frammentata, oggi ridotta ai minimi termini, e che non ha mai avuto un particolare richiamo, se non localmente, sugli appassionati e sul pubblico generico, diversamente da quanto avviene in vari Paesi esteri (un nome su tutti: RhB). Anche i rotabili che circolano o hanno circolato su tali linee non hanno mai goduto di grande fama, senza dire che, a parte poche eccezioni, non vi sono mai stati tentativi di unificazione, specie in passato: ogni rete aveva i suoi mezzi, spesso costruiti su misura e con caratteristiche proprie e peculiari.
Tutto ciò chiaramente ha avuto delle ripercussioni a livello modellistico: i rotabili a scartamento ridotto italiani infatti sono stati sempre appannaggio di artigiani, realizzati in piccole serie, venduti a prezzi sostenuti e spesso di difficile reperibilità, mentre nessun produttore industriale aveva mai preso in considerazione l’idea di investire sullo scartamento ridotto.

Nel 2012 però Os.kar decide di “saltare il fosso”: è l’epoca delle novità a getto continuo e dei ripetuti doppioni e triploni che saturano il mercato, la casa sarda così pensa di avventurarsi proprio nel terreno ancora inesplorato dello scartamento ridotto nostrano. I rotabili scelti sono le caratteristiche automotrici a due assi gruppo M1 delle Ferrovie Calabro Lucane, note come “Emmine”, in particolare le unità delle prime due serie (M1 1–14 e 30–37) nello stato dagli anni ’50 in poi, dopo gli interventi di ristrutturazione (o, come si dice oggi, “revamping”) attuati su 14 esemplari dalla ditta romana Ranieri, con rimotorizzazione e ricostruzione della cassa.

La gestazione dei modelli, in scala H0, è ovviamente più lunga del previsto e la commercializzazione avviene solamente nel 2014, dopo due anni di attesa (che in confronto a quanto si sarebbe dovuto aspettare per le ALe 540 sembrano pochi…).

Le cinque versioni programmate vengono consegnate tutte in un colpo solo: abbiamo innanzitutto la M1 3 (art E1001) nella livrea alluminio adottata subito dopo la ricostruzione (effettuata nel 1950) e che si ambienta dunque nei primi anni’50. La sigla laterale “MCL” fa riferimento alla Società Mediterranea che ebbe in concessione la rete delle Calabro-Lucane fino al 1963 (successivamente sarebbe subentrata la gestione commissariale governativa, con mutamento della sigla in “FCL”).

M1 3, art. E1001 – foto da rail-modelling.com

Vi è poi la M1 8 (art. E1002) nella successiva livrea isabella con carenature in castano, sempre con insegne MCL, che si ambienta qualche anno più tardi, grossomodo tra la metà degli anni ’50 e i primi ’60. Non sappiamo esattamente in quale anno sia avvenuto il cambio di livrea, ad ogni modo questo modello su un plastico ambientato intorno alla metà degli anni ’50 può coabitare senza problemi con la precedente unità in color alluminio.

M1 8, art. E1002 – foto da rail-modelling.com

Abbiamo quindi la M1 7 (art. E1003) in livrea castano con tetto e carenature in isabella e con la sigla FCL sulle fiancate, collocabile a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, ultimo periodo di servizio al vero.

M1 7, art. E1003 – foto da rail-modelling.com

Infine vi è una confezione (art. E1000) contenente la M1 32, con livrea e caratteristiche analoghe alla M1 7 appena descritta, e la M1 11 in versione bagagliaio, con ampi portelloni sulle fiancate e livrea verde-grigio. Relativamente a quest’ultima unità, la trasformazione in automotrice-bagagliaio (o “furgone”) è avvenuta nel 1973 e la macchina dovrebbe aver fatto servizio fino al principio degli anni ’80, tuttavia non è stata demolita ma, dopo un lunghissimo accantonamento, recentemente è stata restaurata (solo esteticamente), ricevendo la coloritura castano-isabella che, per quanto associata alla “storicità” nell’immaginario collettivo, non è filologicamente corretta dato che, all’atto della trasformazione, venne rimpiazzata appunto da quella in verde e grigio.

M1 32 e M1 11 bagagliaio della confezione art. E1000 – foto da rail-modelling.com

I modelli sono realizzati in modo più che buono, la cassa è in plastica e ripropone ottimamente il caratteristico aspetto del prototipo reale, con le varie pannellature e chiodature sulle fiancate e sul tetto e la fitta finestratura con vetri a filo cassa completi della barra di sicurezza (incisa a metà altezza) e dei deflettori nella parte superiore. Non sarebbe stato male riprodurre anche le tendine, che al vero risultavano abbastanza visibili anche quando rimanevano in posizione aperta, essendo i montanti tra un finestrino e l’altro alquanto stretti.

Fiancata sinistra della M1 32 – foto da rail-modelling.com

I tergicristalli sui vetri anteriori sono stampati e ritoccati in nero, con buon effetto.
Diversi sono i particolari riportati tra cui i corrimani, le maniglie delle porte e, sui frontali, i paraurti con i sottostanti ganci di traino e i tappi del radiatore e del serbatoio (questo nella parte posteriore). Nella parte inferiore, sempre riportato, è presente il tubo di scappamento, peraltro pressoché invisibile se non capovolgendo il rotabile.

Testata della M1 11 – foto da rail-modelling.com

La versione bagagliaio ha richiesto uno stampo apposito per le fiancate e per i finestrini, che presentano un numero maggiore di barre di sicurezza.
Le carenature sono realizzate a parte e applicate dal basso, ciò lascia in vista alcune fastidiose fessure, che però vengono in parte dissimulate dallo stacco tra i diversi colori (a parte sulla versione in livrea alluminio).

Fiancata sinistra della M1 11 – foto da rail-modelling.com

Gli interni, al vero molto scarni e del tutto assimilabili a quelli di un autobus (del resto l’idea alla base delle “Emmine” era proprio quella dell’autobus su rotaie), sono riprodotti in modo dettagliato, con le file dei sedili, chiaramente assenti nella versione bagagliaio, i vari pannelli sul pavimento (questo, come sulla recente ALDn 32, è più che altro un esercizio di stile, essendo un dettaglio pressoché invisibile dall’esterno) e, in cabina di guida, il cofano del vano motore e il caratteristico volante in corrispondenza del posto di guida, che ovviamente non serviva per sterzare ma per selezionare le marce, come avveniva su automotrici di altra tipologia più o meno coeve (tra cui, ad esempio, le ALn 56 e 556 Breda FS).

La M1 32 vista dall’alto – foto da rail-modelling.com

La decorazione è ben realizzata, con tonalità dei colori fedeli al reale. Le iscrizioni, limitate alle grandi sigle MCL o FCL e alla marcatura, al vero realizzate con caratteri in alluminio fissati alla cassa, sono semplicemente tampografate e non in rilievo, probabilmente per evitare complicazioni con gli stampi; l’effetto è abbastanza buono ma sull’unità in livrea alluminio risaltano poco. La soluzione ottimale a nostro avviso sarebbe stata quella di fornire i caratteri in fotoincisione da incollare sopra le tampografie, come fatto anche da altre case in situazioni analoghe (ricordiamo ad esempio Roco con le ultime edizioni delle E645).

Fiancata destra della M1 3 – foto da rail-modelling.com

Il semplice rodiggio a due assi, pur parzialmente occultato dalle carenature, è riprodotto in modo abbastanza completo nei suoi elementi essenziali, con le molle a balestra della sospensione, le boccole e i ceppi dei freni, che però non sono complanari ai cerchioni.

Fiancata sinistra della M1 7 – foto da rail-modelling.com

Di serie sono montati assi con scartamento di 12 mm a norma H0m, nella confezione sono anche forniti assi di ricambio con scartamento di 9 mm (norma H0e), per chi volesse far circolare i modelli su un tracciato con tale caratteristica (per il quale possono esseri utilizzati, almeno nei tratti non in vista, binari per la scala N, che sfrutta lo stesso scartamento). Ricordiamo peraltro che nessuno dei due scartamenti è l’esatta riduzione in scala dei 950 mm del reale (che in 1:87 corrisponderebbero a 10,9 mm, valore però non normalizzato). Piccola caduta di stile, le vele delle ruote appaiono lisce, senza il risalto del cerchione, e troppo lucide, per un maggiore realismo è opportuno ripassarle in nero.

Fiancata sinistra della M1 8 – foto da rail-modelling.com

La meccanica, data la “trasparenza” del rotabile, è stata opportunamente occultata nel poco spazio disponibile nella parte bassa, al di sotto dell’arredo. Il piccolo motore, a indotto senza ferro, è incassato nel telaio metallico, in posizione centrale ma più a destra rispetto all’asse longitudinale del rotabile, e trasmette il moto, tramite un ingranaggio che a sua volta aziona un albero con vite senza fine all’altra estremità, all’asse anteriore mentre quello posteriore è folle (al vero invece la configurazione era opposta, con l’asse anteriore folle e quello posteriore motorizzato). Purtroppo si è fatto 30 ma non 31 e non è stato studiato un sistema di appoggio isostatico, pertanto l’automotrice, nonostante la captazione di corrente avvenga su tutte le ruote, tutte prive di anelli di aderenza, potrebbe avere qualche incertezza su binari sporchi o non perfettamente posati o su scambi con cuore isolato. In aggiunta a ciò l’assenza di appoggio isostatico non permette uno sfruttamento ottimale dell’aderenza, pertanto la forza di trazione è molto scarsa e ulteriormente penalizzata dall’esigua massa (una sessantina di grammi) e dallo schema meccanico dato che, per effetto del cabraggio, l’asse anteriore, motorizzato, viene in parte alleggerito dal peso gravante su di esso: ciò potrebbe essere un problema su plastici con forti pendenze e curve strette (ricordiamo che anche al vero le “Emmine” circolavano su tratte tutt’altro che pianeggianti e rettilinee), risolvibile però aggiungendo un po’ di zavorra (per evitare che rimanga in vista può essere fissata nel sottotetto all’altezza dell’asse motorizzato). Se mai Os.kar dovesse approntare nuove edizioni, riteniamo che l’appoggio isostatico sia una dotazione indispensabile.

La parte posteriore della M1 3 – foto da rail-modelling.com

L’impianto elettrico sfrutta un circuito stampato situato nella zona posteriore, sempre negli spazi risicati al di sotto dell’arredo interno, che, nella migliore tradizione degli “optional non richiesti messi lì al solo scopo di far lievitare il prezzo”, integra anche un decoder per il funzionamento in digitale. I fanali sono illuminati tramite LED e anche l’interno è illuminato, alla ricerca del sempre maggiore realismo (e prezzo…), sarebbe però buona cosa aggiungere il figurino del macchinista e qualche passeggero per evitare l’effetto “treno fantasma” (e magari disattivare l’illuminazione in cabina di guida).

La M1 11 vista dall’alto – foto da rail-modelling.com

Il funzionamento non è del tutto entusiasmante: oltre ai problemi di aderenza e alle incertezze dovute alla mancanza dell’appoggio isostatico, il motore è piuttosto rumoroso, inoltre con l’alimentazione tradizionale analogica la presenza del decoder, nonostante la dichiarata compatibilità, rende l’automotrice poco maneggevole e la velocità minima risulta esageratamente elevata.

La M1 7 vista dall’alto – foto da rail-modelling.com

Il prezzo di lancio nel 2014 è sostenuto, anche se non raggiunge i livelli di follia a cui vogliono farci abituare oggi: le automotrici singole costano circa 135 euro, corrispondenti, stando alla rivalutazioni ISTAT, a circa 160 euro odierni (equivalenti a due coppie di carri VFcc…), mentre la confezione con due unità è in vendita a circa 260 euro, corrispondenti a circa 310 euro attuali.

Il successo di questi modelli, prodotti ovviamente in Cina e in tirature abbastanza esigue, sembrerebbe essere stato buono in termini relativi ma non in termini assoluti: in altre parole, sono stati molto apprezzati dagli estimatori dello scartamento ridotto italiano e delle epoche passate, che però costituiscono una ristretta cerchia all’interno dell’asfittico mercato fermodellistico nazionale.
Di conseguenza Os.kar, che inizialmente, sull’onda dell’entusiasmo, aveva annunciato la produzione di un “sistema Emmine” comprendente edifici e accessori (stazione, magazzino merci, piattaforma girevole e anche una confezione iniziale con binari, rotabili e accessori vari) ha gettato la spugna e le piccole “Emmine” sono rimaste ad oggi un caso isolato.
Con il senno di poi riteniamo – ma si tratta di un nostro parere, che può essere o meno condiviso – che la scelta delle “Emmine”, per quanto simpatiche e caratteristiche, non sia stata del tutto azzeccata, trattandosi di rotabili ambientati in un passato ormai troppo lontano, che hanno circolato in molti casi su linee di cui si è ormai quasi perso il ricordo (quanti oggi possono dire di averle viste in funzione o di averci viaggiato sopra?) e di cui nessun esemplare è stato preservato attivo o perlomeno a scopo museale (a parte il recentissimo restauro della M1 11).
A nostro parere sarebbe stato forse meglio puntare sulle più moderne automotrici del gruppo M4, compatibili con ambientazioni più recenti e attuali, essendo entrate in servizio a partire dalla seconda metà degli anni ’80 e in uso ancora oggi, declinabili in diverse varianti di livrea e di dettagli e da cui si sarebbero potute trarre senza difficoltà anche le ADe 90 circolanti sulla (residua) rete a scartamento ridotto sarda.